Tatto dal nostro Beauty Magazine n. 6
La gravidanza è un evento “straordinario” nella vita di una donna. “Straordinario” non nel senso di meraviglioso. Certo, è anche meraviglioso scoprire di aspettare un bambino, ma non è solo quello. E’ un evento straordinario perché è fuori dall’ordinario. Probabilmente non ci saranno nella vita di una donna eventi più sconvolgenti di quello di dare alla luce un figlio. Si tratta di uno sconvolgimento su più livelli: biologico, psicologico e sociale.
La dimensione biologica mette la donna di fronte ad un corpo che cambia, si ingrandisce – in modi a volte imprevedibili – dove gli ormoni, la nausea, la stanchezza, il gonfiore, la stitichezza – e tutte le possibili conseguenze fisiche- possono frequentemente complicare un quadro dove ‘cambiamento’ è la parola d’ordine. Prima di approfondire l’aspetto psicologico è bene sottolineare i cambiamenti che
intervengono a livello sociale. La maternità è un periodo in cui emergono e riemergono nuovi e antichi conflitti sia esistenziali che relazionali. Assistiamo, infatti, alla nascita di un nuovo ruolo, quello di madre, e alla ristrutturazione di tutti gli altri ruoli vissuti fino a quel momento.
La donna, quindi, oltre a costruire il rapporto con il nascituro si troverà a dover modificare quella che è stata la relazione col partner e con i genitori fino a quel momento. E non solo: anche il rapporto con le amiche, con i colleghi e con tutte le persone che appartengono al suo mondo cambierà. Probabilmente la più grande di tutte le sfide è affrontare i cambiamenti nella relazione con la propria madre e con il modello di materno introiettato in tutto l’arco della vita. La donna è figlia di sua madre e si appresta a diventare madre dei propri figli; questo doppio ruolo è carico di significati e fa riemergere antichi conflitti che, in molti casi, la donna ha incontrato in passato nel rapporto con sua madre e si è lasciata alle spalle senza che siano stati del tutto superati.
La dimensione sociale si presenta, quindi, strettamente interconnessa a quella psicologica.
Durante la gestazione la donna si trova coinvolta, e spesso travolta, da una serie di sentimenti e vissuti molto intensi: c’è l’euforia per una notizia attesa o lo shock nel caso in cui la gravidanza non sia stata cercata; c’è gioia e trepidazione per un attesa che per alcune è davvero troppo lunga. Emerge, in questo senso, una componente molto vitale che ha a che fare con un progetto di vita che prende forma: una coppia che cresce, una famiglia che si crea o si allarga. Ma non è tutto. Si fa strada un percorso che può essere anche buio perché attraversa la parte oscura di ogni donna e che spesso resta inconfessata. E allora la futura mamma si sente anche triste, disorientata, in alcuni casi completamente smarrita. C’è la paura per qualcosa che, per quanto cercato e desiderato, finirà per sconvolgere la propria vita in modi incontrollabili e imprevedibili.
La donna può aver paura di misurarsi con questo evento che è denso di significati, di regole il più delle volte stabilite da altri e di “must” a cui sente di doversi assolutamente uniformare. La paura spesso accompagna un senso di vuoto che può sembrare incomprensibile se visto dall’esterno dal momento che si sta vivendo un periodo che agli occhi degli altri è “di rose e fiori” e questo fa emergere anche un profondo senso di colpa. Non sempre le donne riescono ad individuare quanto accade loro e non sempre riescono a trovare accoglienza nel momento in cui lo confessano. Purtroppo non di rado la paura del giudizio porta ad una chiusura. Si ha paura, infatti, di essere giudicate delle ingrate per non saper apprezzare il dono prezioso che stanno ricevendo, si teme di non essere all’altezza, di non essere capaci.
Il senso di inadeguatezza è probabilmente il fantasma più grande con cui una futura mamma fa i conti.
Sentire di non poter condividere questi vissuti porta la donna alla solitudine con il rischio di chiudersi in un vero e proprio isolamento. Tutta questa parte di esperienza assolutamente umana e legittima rientra in quello che è un vero e proprio tabù che ruota attorno alla maternità e che porta davvero a credere che gravidanza e parto siano un momento fatto solo di “rose e fiori”. Questo crea un vero e proprio condizionamento culturale dal quale è difficile svincolarsi. Il risultato è che c’è un comune sentire che tende a negare, e quindi a delegittimare, pezzi di esperienza reale, autentica che invece molte donne vivono.
Il messaggio sotteso è che ha diritto di esistere solo il bello, il buono e il positivo mentre il ‘negativo’ (che, ahimè, esiste eccome!) non può venir fuori. Questo tabù lontano dal risolvere i problemi che le donne incontrano, piuttosto complica il quadro. Infatti, se una donna sente che tutto attorno a sé le chiede di essere felice, ma questo non corrisponde a ciò che lei davvero sente, finisce per percepirsi come quella “sbagliata”: «se tutte si sentono così felici ed io no, allora ci sarà qualcosa di difettoso in me». La conseguenza di questo tipo di pensiero è proprio la chiusura e l’isolamento in cui tutto diventa pesante, faticoso e ingestibile ed ogni cosa è permeata da un alone di pessimismo. L’isolamento, inoltre, incide anche sulla capacità di coping quindi sulla capacità di vivere da protagonisti le situazioni della vita e le difficoltà che si possono incontrare. In aggiunta, il tabù che nega tutta la parte ‘negativa’ ha come altro effetto quello di perdere, o comunque di depotenziare, quanto poi di bello e di positivo effettivamente c’è nell’esperienza della maternità. Interrompere il contatto con il canale emotivo non permette più di accedervi liberamente e, quindi, la persona che si anestetizza a quei sentimenti scomodi rischia di perdere il contatto autentico con tutti i vissuti quindi anche con quelli positivi.
Di conseguenza negare il ‘negativo’ porta a perdere un po’ anche il positivo che tanto viene esaltato. Tengo a precisare che della parola ‘negativo’ le virgolette non sono a caso: anche i sentimenti “negativi” infatti contattati, consapevolizzati ed elaborati possono essere un prezioso strumento di crescita e di cambiamento e rappresentare, quindi, una grande occasione. E allora, se questi sentimenti scomodi alla fine ci portano a migliorare noi stessi, ad attivare risorse fino a quel momento inesplorate, ad essere più capaci di contatto con noi stessi e con gli altri alla fine possiamo dire davvero che sono stati “negativi”?
Nel periodo del post-parto, quindi, è essenziale che le donne non si isolino e questa è la grande sfida per tutte le donne e per tutti i professionisti che lavorano nel campo della salute affinché le aiutino a non isolarsi. Importantissimo allora è per queste donne fare gruppo: conoscersi, condividere esperienze, cercare aiuto e offrirlo, restare in contatto e confrontarsi su tematiche e problematiche comuni.
Il fare gruppo rompe l’isolamento, crea solidarietà, aiuto reciproco, empowerment e permette di consolidare legami significativi.
Oltre a questo è importante che ogni donna costruisca una rete sociale: avere contatti di professionisti come il ginecologo, l’ostetrica, il pediatra, lo psicologo perinatale, il nutrizionista, l’osteopata, il consulente dell’allattamento e così via, che rappresentino punti di riferimento sul territorio su cui la donna possa fare affidamento e a cui rivolgersi in caso di bisogno.
Una rete di supporto quindi che, svolgendo una funzione di sostegno e di contenimento, consenta di unificare quello che è un contesto sociale e un tessuto relazionale sempre più segmentato e sfilacciato in città grandi e spesso sempre più anonime.
Accade di frequente alle donne che stanno per diventare mamme che le persone con cui entrano in contatto (mamma, suocera, zia, cugina, amica, collega, vicina di casa, etc…) siano solerti nel dispensare consigli -anche se non richiesti- come se la sola presenza del pancione diventasse un lasciapassare per indicare alla gestante cosa fare e cosa non fare durante la gravidanza, al momento del parto e nel post-parto. Il risultato è che le donne spesso si sentono più confuse che rassicurate da tutte queste informazioni che il più delle volte sono contrastanti tra di loro e che quasi mai rispondono al vero bisogno di quella determinata donna. In questo fiume di consigli, indicazioni e proibizioni credo sia importante che ogni donna conservi il contatto con i propri sentimenti, vissuti e valori. Con la propria “esperienza organismica” per dirla in sole due parole. Non ci sono, infatti, regole assolute che vanno bene a tutte le donne perché -suona quasi banale, ma purtroppo non è scontato- ogni persona è unica così come la sua esperienza.
E allora tra le mille raccomandazioni date alle donne in procinto di mettere al mondo un figlio, io ne aggiungerei un’altra ancora: ritornate a voi stesse e alla vostra bussola interna per capire dove siete e per sentire che è la vostra intuizione a meritare davvero tutta la vostra fiducia. E quindi fidatevi di voi e del vostro intuito. In fondo quando parliamo di “istinto materno” non ci riferiamo forse a ciò che le madri sanno (di pancia) senza il più delle volte sapere (di testa)? Documentarsi e raccogliere informazioni accreditate è fondamentale, ma queste nozioni non possono rimanere ad un livello puramente teorico. Esse vanno integrate con una componente emotiva interna e tradotte, nella vita di ciascuna, in competenze personali:
Vale a dire: sapere, saper fare e saper essere.
Il contatto con le proprie emozioni e con la propria esperienza, inoltre, potrà facilitare quella che rappresenta una delle più grandi sfide del post-partum e cioè quella di ritrovarsi: ritrovarsi come persona e come donna che esiste oltre il proprio ruolo di madre. Dedicarsi degli spazi propri di piacere in cui potersi riprendere ‘parti’ di sé è necessario oltre che legittimo e nel far questo si offre al proprio figlio/a un esempio positivo di chi costruisce attivamente la propria felicità. Ciò che rappresenterà una vera e propria ancora di salvezza per le donne sarà il legame che riusciranno a costruire con le altre donne.
Sentire di poter condividere, poter ascoltare, poter accogliere e sentirsi accolta da chi appartiene allo stesso mondo, quello femminile, diventa una ricchezza inestimabile.